🔎 Abzgram, di Karolina Wojtas
Inclinazione: postura spaziale obliqua, quasi una lussazione (dal gr. loxós, obliquo, da cui anche lusso e lussuria intesi come tendenze allo sperpero e all'appetito carnale). Un termine innocuo in geometria, dove denota semplicemente una posizione divergente dalla linea orizzontale, un declivio. Ma un termine fonte di sospetto e di apprensione nella filosofia soprattutto moderna, dove siamo avvezzi a immaginare al centro della scena «un io in posizione dritta e verticale, ...un soggetto che si attiene alla verticalità dell'asse rettilineo che funge da principio e da norma nella sua postura etica»
Adriana Cavarero
La disciplina è una forma geometrica, fatta di linee rette la cui misura si può calcolare solo impiegando la corretta formula. Abzgram, di Karolina Wojtas, è un abbecedario che introduce il lettore-studente a queste regole, documentando le strutture teoriche quanto materiche cui sono sottoposti i corpi di chi frequenta il sistema scolastico polacco.
Nelle prime pagine del suo libro viene descritta con precisione la rigida procedura di accesso alla classe cui alunne e alunni sono sottoposti ogni mattina – ognuno deve rimanere perfettamente dritto e immobile, senza poter toccare il proprio vicino in fila e deve tenere lo zaino ai propri piedi, appoggiato alla gamba destra. Non viene data alcuna possibilità per una deviazione dal percorso stabilito ed è così che entriamo nel mondo della scuola in Polonia, un pianeta geometrico fatto di rette che collegano lo spirito patriottico alla religione, pilastri di una disciplina tanto rigida da non poter accogliere la spontaneità della giovinezza e le frustrazioni dell’adolescenza, almeno in apparenza.
Solo la fotografia concede questa vitalità, stimolando l’inclinazione di forme e corpi e forzando la rettitudine che vorrebbe tracciare ogni movimento per provocare – con i codici della staged photography – quell’inclinazione che la filosofa Adriana Cavarero definisce come necessaria deviazione dal concetto patriarcale di rettitudine. La linea dritta come valore geometrico – rappresentata da mani tese, stecche e sbarre che paiono quelle di una prigione e ricorrono ossessivamente nel progetto – viene messa in discussione anche e soprattutto come valore filosofico attraverso la crescente anarchia che si fa spazio tra le ordinate strutture gerarchiche e architettoniche e appare come una giocosa seppur rigida coreografia realizzata da un gruppo di alunne e alunni, disposti in cerchio, ognuno con la schiena appoggiata sulle gambe di chi si trova dietro di lui. Da qui nasce uno conflitto fatto di linee che a poco a poco si spezzano, contrapposte a pagine che invece riproducono i tanti documenti che tengono traccia del percorso di apprendimento – il registro di classe e le griglie dei voti – e ci ricordano che ognuno di coloro che hanno risposto all’appello iniziale «avrebbe potuto essere migliore», più preciso, più diritto, più corretto. Questo duello tra rettitudine e inclinazione, tra miglioramento e deviazione, si gioca attraverso un complicato intreccio di approcci e stimoli visuali: documenti, archivio fotografico, tracce audiovisive e still-life si uniscono alle coreografie e alla messa in scena che Karolina Wojtas impiega per far deflagrare le linee del reale, proponendo una visione alternativa, una sua formula che diverge dalla regola dominante e che prevede di smontare pezzo dopo pezzo la violenza di un sistema scolastico che anche se svelato e ridicolizzato non cessa di apparire oscuro e inquietante, una gabbia da cui forse non c’è alcuna possibilità di uscita.
Francesco Lughezzani